Nicola Badaloni (1924 – 2005) docente di storia della filosofia all’Università di Pisa.
Il concetto di ‘prassi’, come agire individuale e sociale, è al centro di tutta la filosofia inaugurata da Karl Marx e del suo modo di affrontare i problemi della produzione e della scienza. Nei cosiddetti Manoscritti economico-filosofici del 1844, che Gramsci non ebbe la possibilità di conoscere, Marx scriveva: «… come la società… produce l’uomo in quanto uomo, così essa è prodotta da lui» (K. Marx, manoscritti economico-filosofici del 1844 in Marx-Engels, Opere, III, Roma 1976, pp. 324-325). Questa idea per cui la ‘produzione’ o ‘prassi umana’ è comprensiva non solo del lavoro ma anche di tutte le attività che si oggettivano in rapporti sociali, istituzioni, bisogni, scienza, arte ecc., traversa tutto il pensiero di Marx e costituisce il suo principio fondamentale.
Antonio Labriola ha sviluppato questo aspetto, sostenendo che il materialismo storico «parte dalla praxis, cioè dallo sviluppo della operosità e, come è la teoria dell’uomo che lavora, così considera la scienza stessa come un lavoro» (A. Labriola, La concezione materialistica della storia, Bari 1965, p. 233). Per Labriola «ogni atto di pensiero è uno sforzo; cioè un lavoro nuovo», mentre «il lavoro compiuto, ossia il pensiero prodotto, agevola i nuovi sforzi diretti alla produzione di novello pensiero» (ivi, p. 215).
Questa premessa serve a dimostrare che il termine ‘filosofia della prassi’, di cui parla Gramsci, non è un espediente linguistico, ma una concezione che egli recepisce come unità tra teoria e pratica.
Discutendo la Tesi XI di Marx, che propone di cambiare il mondo e non più di interpretarlo, Gramsci scrive che tale tesi «non può essere interpretata come un gesto di ripudio di ogni sorta di filosofia», ma come <<l’egemonica affermazione di unità tra teoria e pratica… Se ne deduce anche che il carattere della filosofia della praxis è specialmente di essere una concezione di massa, una cultura di masse» (A. Gramsci, Quaderni del carcere, Torino 1975, pp. 1270-71). E altrove ripete: «per la filosofia della praxis, l’essere non può essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto dall’oggetto; se si fa questo distacco si cade in una delle tante forme di religione o nell’astrazione senza senso» (ivi, p. 1224).
L’unità di teoria e di pratica serve a Gramsci per delineare una serie di concetti scientifici in grado di interpretare il mondo a lui contemporaneo (egemonia, blocco storico, nuovo senso comune, conformismo di massa nel suo nesso con nuove forme di libertà individuali e collettive, rivoluzione passiva, ecc.). Qui, in sede generale, in relazione alla filosofia della prassi ci limiteremo alle seguenti considerazioni:
1) Né la filosofia della prassi né alcuna scienza a essa collegata ci consentono di fare previsioni che abbiano carattere deterministico.
C’è un unico modo possibile di prevedere, ed è quello per cui esso è un atto pratico che implica la formazione e la organizzazione di una volontà collettiva. Da questa tesi Gramsci ricava la sua critica a Croce, in quanto la sua religione della libertà non contribuisce a creare risultati prevedi bili, evitando di formulare un disegno di trasformazione e una volontà politica che a esso corrisponda. Questa stessa teoria della ‘previsione’ mette in crisi le concezioni deterministiche tipiche dello scientismo della II Internazionale, che sono anch’esse fonte di passività.
2) Le volontà di cui parla Gramsci e, quindi, la prassi, non sono allo stato puro, ma contengono gli elementi materiali che l’uomo stesso ha oggettivato. Ciò significa in primo luogo che la filosofia della prassi è per Gramsci la coscienza piena delle contraddizioni della società a lui contemporanea, sicché «lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni, ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione» (ivi, p. 1487).
Scienze dell’uomo, tra loro distinte, e anche scienze della natura trovano al di là della loro indipendenza un momento di unità, diventando politica. Gramsci sintetizza ciò nei termini che seguono:
«La filosofia della prassi è lo ‘storicismo’ assoluto, la mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia» (ivi, p. 1437). Per intendere questa ultima affermazione, il lettore dovrà richiamare la tesi sopra riportata sulla verità come corrispondenza a una realtà dall’uomo stesso oggettivata.
3) Gramsci definisce «l’uomo come una serie di rapporti attivi (un processo»>, tali che esso «non entra in rapporto colla natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica» (ivi, p. 1345).. In altre parole ogni individuo «non solo è la sintesi dei rapporti esistenti, ma anche della storia di questi rapporti, cioè è il riassunto di tutto il passato» (ivi, p. 1346). Come è possibile cambiare il mondo se il singolo dipende in tal modo dal suo passato? La risposta di Gramsci è che «il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento, e se questo cambiamento è razionale, il singolo può…ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che, a prima vista, può sembrare possibile» (ibidem).
In conclusione, la filosofia della prassi è per Gramsci costruzione di volontà collettive corrispondenti ai bisogni che emergono dalle forze produttive oggettivate o in via di oggettivazione e dalla contraddizione tra queste e il grado di cultura e di civiltà espresso dalle relazioni sociali. Sono implicite in questa, che appare come una concezione filosofica, una serie di scienze della natura e dell’uomo. Prese isolatamente, esse possono essere ritenute indipendenti; considerate come espressione della possibile contraddizione tra attività creative e rapporti comunicativi di tipo sociale, entrano a far parte della filosofia della prassi e possono in tal modo influire sulla politica, cioè su quei cambiamenti che ci fanno intravedere un nuovo modo di vivere a superiori livelli di civiltà.