L’elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana
L’UNITÀ
ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Quotidiano / sped. abb. postale / Lire 40 * * Anno XXXIX / N. 123 / sabato 5 maggio 1962
MARIO ALICATA Direttore
LUIGI PINTOR Condirettore
TADDEO CONCA Direttore responsabile
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Ancora nulla di fatto per l’opposizione della DC a un accordo democratico
Segni battuto per altre due volte nonostante i fascisti
Senza risultato l’incontro quadripartito – Oggi alle 16:00 avrà luogo la settima votazione
Anche nelle due votazioni di ieri, svoltesi dalle sedici alle 21, non è stato possibile eleggere il Presidente della Repubblica. L’ostinazione democristiana, che ha perfino fatto convogliare sul nome di Segni il voto dei fascisti e del monarchici, non è valsa a nulla. ln quinta votazione Segni ha riscosso 396 voti. Nella sesta 399. La maggioranza necessaria era di 428, e quindi il voto è stato nullo.
Ed ecco, nell’ordine, le due votazioni di ieri.
V VOTAZIONE
SEGNI 396
SARAGAT 321
GRONCHI 43
PICCIONI 28
MERZAGORA 14
VI VOTAZIONE
SEGNI 399
SARAGAT 314
GRONCHI 43
PICCIONI 17
MERZAGORA 18
Tra la quinta e la sesta votazione le schede bianche sono aumentate, passando da 35 a 46.
Il voto di ieri ha dimostrato nettamente che su Segni, invece che i voti degli oppositori democristiani (che hanno continuato a votare Piccioni, Gronchi e scheda bianca) si sono riversati i 38 vori dei fascisti e dei monarchici. Mediante l’afflusso di voti di destra, già trattati nei giorni scorsi e, fino a ieri pudicamente respinti, Segni è riuscito così a fare l’unico balzo in avanti notevole fin qui registrato dal voto in suo favore. La progressione del nome di Segni, infatti, aveva visto nelle precedenti votazioni leggeri spostamenti. passando da 333 a 340 a 341 a 354. Ieri, in quinta votazione, è invece passato a 396, e in sesta a 399 per il voto favorevole delle destre che hanno riversato sul nome del candidato d.c. i loro suffragi.
Che ieri le destre si approntassero a votare per Segni, era apparso evidente dopo una dichiarazione di Roberti, il quale aveva presentato il binomio Segni-Saragat, nei termini più favorevoli (in senso fascista) per il primo definendolo un leader «dichiaratamente atlantico, osteggiato in modo feroce dalle correnti di sinistra del suo stesso partito». Roberti aveva concluso affermando che il modo con il quale si erano svolte le votazioni, mostrava, dunque in opposizione a Saragat «la validità dell’altro candidato».
Tale dichiarazione, che agli occhi di tutti gli osservatori era apparsa una chiara indicazione sul prossimo voto dei fascisti, veniva confermata dai fatti.
A quanto si è appreso, inviati a pronunciarsi chiarezza con una dichiarazione antifascista prima del voto, sia Moro che Segni hanno rifiutato di impegnarsi. Continuando anzi nella loro massiccia pressione nei confronti dei «ribelli» essi hanno accusato proprio questi di aver «costretto» la DC ad accettare i voti delle destre. È stato semplice, ai rappresentanti delle correnti «base» e «rinnovamento» ritorcere sulla segreteria d.c. l’accusa di avere, in ossequio alla linea «dorotea» impedito la votazione su altri candidati.
La ostinazione di Moro nel voler imporre, prepotentemente, un candidato ormai screditato dalle precedenti votazioni era con evidenza apparsa manifesta fin dalla mattinata. Di buon’ora, infatti, Moro aveva incontrato alla Camilluccia i rappresentanti dei partiti del centro-sinistra. Reale (PRI) e Tannassi (PSDI) Per il PSI era presente Nenni. La riunione si è risolta in un nulla dl fatto, poiché i tre convenuti si sono visti riproporre, e rigidamente, il nome di Segni. Moro ha respinto tutte le altre soluzioni avanzate (si è fatto il nome di Gronchi, il nome di Fanfani, il nome di «indipendenti» (Merzagora) e di democristiani meno «politicizzati» come Leone e Campilli. È affiorato anche il nome del ministro Pastore. Ma Moro ha respinto ogni variazione al suo programma, che per tutto ieri è restato tenacemente legato al far prevalere il nome di Segni assorbendo i voti «dissidenti» con un massiccio uso delle pressioni di quella che, scherzosamente, viene definita la «polizia dorotea» oppure OAS (organizzazione ascesa Segni)
Contro una sì rigida presa di posizione, ai convenuti alla Camilluccia non è restato che riconfermare il loro al candidato più’ qualificato ad esprimere il volto non solo della maggioranza del paese, ma anche della stessa maggioranza governativa: Saragat. In tal senso hanno parlato Reale e Tanassi. Nenni ha criticato la pregiudiziale di Moro, respingendo l’invito a votare per Segni, e ponendo il segretario della DC di fronte ai pericoli generali che possono scaturire da una così ostinata, e ormai indifendibile, presa di posizione. Dopo la riunione della Camilluccia, Nenni, mentre era in corso la riunione della direzione del PSI, ha sospeso la seduta e si è recato conferire con Fanfani, a Palazzo Chigi. Al termine della riunione della direzione, Nenni ha reso una dichiarazione. « Voteremo per Saragat – ha detto – Non è emerso fin qui alcun altro elemento nuovo. Nei colloqui che ho avuto per incarico della direzione del PSI ho fatto presente la necessità di aprire fra i partiti un discorso politico in vista della necessità di un’intesa su una candidatura capace di esprimere di valori reali, politici e sociali sui quali la Repubblica si fonda. Fin dall’inizio si sarebbe dovuti partire di qui. credo che si imponga a tutti il dovere di impedire che sulla più alta carica dello Stato si accendano ipoteche reazionarie e fasciste».
Nel pomeriggio di ieri, in vista della quinta e sesta votazione, i colloqui tra i dirigenti d.c. e i dissidenti sono continuati. È apparso chiaro a tutti che Moro continuava a puntare sulle sole forze della DC e della destra, per eleggere Segni, scartando ogni altra soluzione. È questo elemento settario che più di altri colpisce tutti gli osservatori politici.
Tanto più che ha impressionato sfavorevolmente una dichiarazione rilasciata da Moro, tra la quinta e la sesta votazione. In essa si legge che «la candidatura di Segni è stata proposta e viene sostenuta dalla DC Sulla base degli orientamenti fondamentali del Partito, quali risultano da tutti i suoi congressi e da ultimo da quello di Napoli. La piattaforma politica sulla quale la elezione è stata proposta è di deciso orientamento democratico, popolare, anticomunista e antifascista. Questa piattaforma, accettata dall’on. Segni fedele militante della DC, è l’unica base sulla quale i consensi parlamentari possono essere dati. Essa indica che la DC ha inteso assicurare, nella più alta magistratura dello Stato, la piena attuazione dei principi e degli indirizzi fondamentali della Costituzione democratica e repubblicana.
Chiaramente rivolta ad attenuare l’impressione sfavorevole suscitata dall’accoglimento dei voti fascisti, la dichiarazione della DC è stata rilasciata mezz’ora prima dell’inizio della sesta votazione, con il chiaro intento di smuovere verso Segni altri voti, sia dalle correnti di «sinistra» della DC, che da altri settori. Ma la manovra non è riuscita. La debolezza della dichiarazione di Moro, presentata dai suoi portavoce come un «manifesto» antifascista, è apparsa evidente subito. Interrogato dai giornalisti, il fascista Roberti non ha affatto accusato il colpo. AI contrario. dopo aver letto la dichiarazione di Moro, egli ha a sua volta dichiarato: «Continueremo a votare per Segni. Noi infatti non votiamo per il segretario della DC. ma per il futuro Presidente della Repubblica».
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Trattare seriamente
L’ATTEGGIAMENTO degli organismi dirigenti della Democrazia cristiana ha toccato il limite. Dopo aver rifiutato in pratica, anche dopo il quarto scrutinio, ogni trattativa seria, perché è evidente che non poteva essere considerata trattativa politica seria il tentativo di far convergere sul nome di Segni i voti degli altri partiti della maggioranza di centro-sinistra – i quali da un simile accordo sarebbero usciti, oltre tutto, umiliati – gli organismi dirigenti della DC hanno voluto riproporre il nome di Segni anche per il quinto scrutinio. E qui è accaduto quello che tutti sapevano doveva ad un certo momento accadere, vale a dire che la candidatura Segni si è definitivamente e senza possibilità di equivoci qualificata non più solo come una candidatura di destra, ma come una candidatura clerico-fascista. Ai voti da lui presi al quarto scrutinio non si è infatti aggiunto pressoché nessuno dei voti dissidenti delle correnti di sinistra democristiane né nessun voto di altri partiti della sinistra (che hanno ancora una volta bloccato sul nome di Saragat), ma si sono aggiunti, contati fino all’ultimo, tutti i voti monarchici e fascisti: quelli che fino a ieri erano andati a Gioacchino Volpe o a Condorelli.
Se prima taluno poteva pensare che l’insistenza sul nome di Segni fosse da considerarsi unicamente come una testimonianza della prepotenza democristiana, e come un episodio legato specialmente alla lotta fra i gruppi di potere esistenti all’interno di questo partito, ora non può non essere evidente a tutti che siamo di fronte ad una manifestazione politica precisa e il cui significato va da tutti, e in primo luogo dagli altri partiti componenti la maggioranza di centro-sinistra, valutato fino in fondo.
A DUE mesi dal Congresso di Napoli e dai solenni impegni dell’onorevole Moro di definitiva rottura con la destra liberale monarchica e fascista, gli organismi dirigenti della DC pretendono di eleggere il Capo dello Stato, vale a dire pretendono di compiere uno degli atti politici più solenni previsti dalla Costituzione, con una maggioranza in cui i voti monarchici e fascisti sarebbero determinanti e contro la precisa volontà di una parte cospicua degli stessi deputati e senatori democratici cristiani! C’è da chiedersi davvero a questo punto se è a costoro che va la qualifica di «franchi tiratori» contro la linea stabilita dal congresso del partito, o se questa qualifica non sia più legittimamente da riservarsi all’on.le Segni e allo stato maggiore «doroteo». A meno che questi ultimi non attendessero proprio la scadenza delle elezioni presidenziali per far saltare in aria l’operazione guidata da Moro, sia pure con tanta reticenza e riluttanza, al Congresso di Napoli.
Solo così, si può spiegare che anche dopo il risultato del quinto scrutinio, i «dorotei» abbiano indotto gli organismi dirigenti della DC a sollecitare un’altra votazione immediata e abbiano, anche in divenuta oramai – nonostante la smentita fatta questa votazione, presentato la candidatura Segni, circolare dall’onorevole Moro net corridoi di Montecitorio – il candidato ufficiale dello schieramento clerico-fascista esistente nel Parlamento.
Quale fosse il risultato, negativo o positivo che i «dorotei» si attendevano da questa votazione, nell’uno e nell’altro caso non si può non parlare infatti di un gesto politico estremamente grave compiuto nei confronti della maggioranza dell’Assemblea, dell’opinione pubblica c del Paese.
IL RISULTATO del sesto scrutinio, anch’esso negativo, ripropone la questione da noi già avanzata ieri di una trattativa che possa raccogliere intorno a un candidato una larga maggioranza democratica di voti. Perché questa trattativa abbia però successo è necessario che gli orgasmi dirigenti della DC, e gli stessi «dorotei», riacquistino il senso del limite. ln caso contrarlo, essi si assumerebbero una responsabilità di portata assai grande nel confronti del paese e che, come prima conseguenza, porterebbe inevitabilmente ad un inasprimento, se non ad una crisi profonda, nella vita politica italiana. Dall’unità delle forze democratiche, antifasciste e di sinistra, laiche e cattoliche, esistenti nel Parlamento può e deve uscire un’iniziativa capace di sbloccare in senso positivo la situazione.
Mario Alicata
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Montecitorio
«Tribunale» doroteo per i dissidenti dc
Ma 80 parlamentari democristiani hanno continuato a votare contro l’on. Segni
Cinque ore di braccio di ferro assurdo nel quale si sono tese tutte le forze politiche del Parlamento: così può essere definita la lunga seduta di ieri a Montecitorio, preceduta da una mattinata di nervosi colloqui, consultazioni, pressioni, ricatti.
Sono presenti in aula ottanta parlamentari democristiani circa che insistono, da mercoledì scorso, a votare per Gronchi, per Piccioni, per Merzagora. Individuarli e convincerli a votare per il candidato ufficiale della DC, questo il compito nel quale è stato impegnato, senza risultato, durante tutta la mattina di ieri Io stato maggiore doroteo. Per questo, alla line della seduta si è insediato un vero «tribunale» presieduto da Moro, e del quale sono stati chiamati a far parte Zaccagnini e Gava, capigruppo rispettivamente della Camera e del Senato, e i due’ vicesegretari Scaglia e Salizzoni. L’on. Forlani, il giovane deputato fanfaniano che stato immesso nella segreteria del Partito dopo il Congresso di Napoli, è stato il primo ad essere chiamato e a essere posto sotto accusa. L’on. Donat Cattin è stato il secondo parlamentare ad essere chiamato a giudizio. Non c’è nessuno che ammetta di aver votato contro Segni: eppure quelle schede ci sono, e stanno portando il partito di maggioranza ad una spaccatura assai difficile da superare.
C’è stato un momento, nella seduta di ieri, in cui sembrava che la dissidenza avesse finalmente rinunciato alla propria battaglia. Quando l’on. Leone, alle ore 17 precise. ha incominciato a leggere le schede del quinto scrutinio, sono uscite dall’urna, di seguito, quattro schede per Segni, poi tre per Saragat, poi ancora quattro per Segni. Le destre quindi, come si prevedeva, avevano rinunciato a un proprio candidato e facevano convergere i voti su quello della DC. Poi ancora Saragat e ancora Segni, Segni. L’aula attendeva in un silenzio teso l’annuncio di ogni scheda. Poi, all’improvviso, Leone ha letto il nome di Gronchi. Ha risuonato, quel nome, come una fucilata.
Moro ha chinato la testa verso Zaccagnini per dirgli qualcosa all’orecchio, poi si è abbandonato, sovrapensiero, a tagliare un pezzetto di carta in tante piccole strisce sottili.
Il secondo scrutinio è stato meno drammatico: subito sono usciti dall’urna i nomi di tutti i candidati: Piccioni, Merzagora, Segni, Saragat, Gronchi. E ancora una volta fu chiaro che Segni non ce l’avrebbe fatta.
Alla fine della seduta un esponente doroteo diceva, tra i denti: « Ottanta deputati non prevarranno sui 320 disciplinati. Non sarebbe democratico».
Certo 320 è più di ottanta. Ma al di là di questo gruppo ci sono altri quattrocentocinquanta parlamentari. E la democrazia vuole che anche di questi si tenga conto nelle elezioni del Presidente della Repubblica.
Miriam Mafai