La elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana
L’UNITÀ
ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Quotidiano / sped. abb. postale / Lire 50 * * Anno XLI / N. 341 / mercoledì 16 dicembre 1964
MARIO ALICATA Direttore
LUIGI PINTOR Condirettore
MASSIMO GHIARA Direttore responsabile
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Alle 10 a Montecitorio la solenne seduta delle Camere riunite
Oggi si vota per il Capo dello Stato
Di stretta misura l’on. Leone candidato della DC
Affermazione di Fanfani nella votazione interna – Il grottesco scrutinio segreto di Rumor – Saragat candidato ufficiale di PSDI PSI e PRI
Questa mattina alle ore 10, il Parlamento riunito in Assemblea Nazionale, a camere congiunte, inizierà l’operazione di voto per la elezione del Presidente della Repubblica. La giornata di oggi trascorrerà tutta, molto presumibilmente, nell’esaurimento delle prime due votazioni con il sistema della maggioranza di due terzi. Essendo gli elettori 964, il candidato. per essere eletto, dovrebbe ottenere 643 voti. Dopo tre scrutini con questo metodo (il terzo scrutinio si avrà forse domattina) il parlamento adotterà il sistema della maggioranza «assoluta» (cioè del 50 per cento più uno degli elettori). Saranno quindi necessari per essere eletti, dalla terza votazione in poi, 482 voti.
All’apertura delle urne, che verrà ordinata non appena iniziata la seduta da Bucciarelli-Ducci, Presidente della Camera, la situazione politica si presenta ancora del tutto fluida. Di fronte a Leone, candidato ufficiale della DC, starà il candidato ufficiale dei tre partiti alleati, PSI, PSDI e PRI, Saragat, il quale sarà assente, trovandosi ancora a Parigi. A quanto si apprende il nome di Saragat verrà portato innanzi fin dalle prime votazioni (quelle con maggioranza a due terzi) senza attendere le votazioni «buone», a maggioranza assoluta. La candidatura di Saragat è stata confermata ieri sera dal Presidente del gruppo socialista, Ferri, dopo la riunione con la quale i deputati e senatori del PSI hanno fornito la loro indicazione. La stessa indicazione si è avuta dopo una riunione dei rappresentanti del PSI, del PSDI e del PRI (De Martino, Tolloy e Ferri; Tanassi, e Cariglia; La Malfa e Terrana). Un comunicato conferma il «comune impegno» dei tre in direzione di Saragat.
La candidatura di Leone, come era previsto, ha dimostrato che i dorotei sono ben lontani dall’aver compiuto una scelta di unità all’interno del gruppo dc. La votazione ha non soltanto veduto il gruppo democristiano profondamente diviso, ma ha marcato un’affermazione particolare di Fanfani che, malgrado i veti dorotei, ha riportato circa 110 voti.
Le votazioni del gruppo dc sono durate dalle 9 di mattina alle 16,30, seguendo il grottesco cerimoniale istaurato da Rumor, il quale ha dato alle fiamme purificatrici le schede. per mantenere il segreto. Malgrado queste medievali precauzioni. si sono egualmente appresi i dettagli su come è andata la votazione. Si è appreso, innanzitutto, che una parte non indifferente di deputati ha disertato la elezione indicativa. Su 399 parlamentari democristiani (compresi i «regionali») se ne sono recati a votare 373. Di questi solo 190 hanno votato per Leone, il quale — in questa modo — avrebbe ricevuto la «designazione» con 3 voti di maggioranza essendo la metà votanti 187. Esito piuttosto magro, indicativo della poca popolarità riscossa, anche seno alla DC, dal candidato, doroteo.
Contro questo scadente risultato, che è un colpo anche al prestigio di Rumor e Moro paladini della candidatura dell’ex «presidente di affari», sta l’indubbia affermazione di Fanfani. Egli, a quanto si è appreso, ha riscosso circa 110 voti, guadagnando cioè consensi molto all’infuori della sua corrente di «Nuove Cronache» che conta poco più di una quarantina di deputati. Hanno evidentemente votato per l’ex Presidente del Consiglio, in funzione antimorotea e antidorotea, parecchi parlamentari democristiani dei diversi settori. Le altre indicazioni non hanno riservato sorprese. Sia Scelba che Pastore hanno ricevuto i voti delle loro correnti; 39 il primo e 34 il secondo.
Ha inizio così, in un’atmosfera difficile e tesa, ma aperta a diverse soluzioni, la battaglia presidenziale, che si prospetta lunga e accidentata. Non sembra, infatti, che i moro-dorotei siano disposti, anche se il Parlamento ratificherà oggi l’insuccesso di Leone, a rinunciare a una loro candidatura di tendenza. Il problema politico, per Moro e Colombo, resta infatti quello di riuscire a inviare al Quirinale un personaggio che garantisca loro una «protezione» a destra, garantendo una linea «moderata» del tipo di quella di Segni. E’ per questo che, proprio ieri — dopo la penosa designazione di Leone – i dorotei tornavano a far circolare il nome di Piccioni. Sempre dai settori moro-dorotei veniva anche avallata la possibilità di una candidatura Zaccagnini, come quella di un uomo «intermedio» ricco di sfumature «morotee» che potrebbe (dicono i suoi sostenitori) conciliare le opposte esigenze, dei dc e degli alleati.
Da parte del PSI, del PRI, del PSDI non si fanno commenti sulle possibili candidature che, a partire da oggi stesso, la DC potrà avanzare subito dopo l’eventuale crollo di Leone. Il nome di Saragat continua ad essere l’unico attorno al quale gli alleati dicono di voler bloccare, pur non escludendo la trattativa futura attorno al nome di un cattolico non moderato o di destra.
Da oggi, comunque, già nel corso delle prime votazioni, la trattativa si aprirà, al livello delle segreterie e dei gruppi. E dal modo come la trattativa si svilupperà si potrà misurare la forza reale delle diverse posizioni politiche e si potrà controllare fino a che punto possa prevalere la manovra dorotea, già in atto, tesa a imporre una soluzione che non risponde né alla realtà né allo stato d’animo dei sinceri cattolici e del movimento democratico.
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Fuochi a Montecitorio
ANCHE con un massimo di buona volontà è difficile conciliare la solennità e l’impegno democratico di un atto come l’elezione del Presidente della Repubblica con i metodi e lo spirito manifestati anche in questa circostanza — e fino all’ultima ora — dal gruppo dirigente della DC.
Non è, per esempio che si possa spiegare con una innocua piromania dell’on. Rumor il rogo delle schede usate da deputati e senatori democristiani per designare il candidato ufficiale del loro partito. L’espediente da società segreta o da consesso ecclesiastico — senza dubbio stupefacente — non è stato anch’esso che un modo di mascherare la debolezza elle soluzioni proposte.
Nonostante la distruzione delle prove, si è del resto subito saputo che il candidato ufficiale del gruppo dirigente d.c., On. Leone, non ha ottenuto eppure 200 voti, e che almeno altre due candidature sono state validamente sostenute dall’altra metà dei parlamentari democristiani.
E’ una dimostrazione, in partenza, di quanto assurda e forzata sia la pretesa «dorotea» di imporre non solo alle altre correnti interne. non solo agli «alleati» del centro-sinistra, ma addirittura al Paramento del 28 aprile e all’opinione pubblica nazionale le proprie scelte di destra, che nessun criterio giustifica se non appunto un criterio di parte.
AL DI LA’ di questo stile da congiurati, con quale spirito e intento politico il gruppo «doroteo» della DC affronta la grande battaglia di queste ore?
E’ lo stesso spirito che portò all’elezione di Segni, nel nome di una linea di egemonia clericale e di conservazione, ma con un’aggravante rispetto a due anni fa: giacché, da allora, vi è stata una doppia consultazione popolare che ha spostato profondamente a sinistra l’equilibrio parlamentare e l’equilibrio politico.
Il gruppo «doroteo» della DC parte dunque col proposito di far violenza alle cose, «riequilibrando» a destra un centro-sinistra che già di per sé contraddice alla volontà del Paese; o, nel migliore dei casi, consolidando l’attuale equilibrio governativo. Parte cioè con una visione di regime, servendosi della estrema destra da un lato e della discriminazione a sinistra dall’altro per cercar di piegare i gruppi interni dissidenti e i suoi stessi alleati.
Tale è il senso delle candidature minoritarie di destra che il gruppo dirigente della DC porta avanti, delle candidature «moderate» che tiene in serbo, del diritto ereditario accampato sul Quirinale. E non solo le sue candidature di destra, ma questo animo e questo obbiettivo di regime che guidano il gruppo doroteo sono l’avversario ch’è interesse tutte le forze democratiche battere, e che alle sinistre laiche e cattoliche è del resto facile battere ove trovino un terreno di intesa.
L’ESITO della pre-elezione nei gruppi democristiani una buona premessa alla battaglia che oggi si apre. La candidatura ufficiale democristiana si conferma debole e squalificata, le altre candidature «dorotee» non sono meglio piazzate. Per sconfiggerle, però, non si può puntare su una visione altrettanto ristretta, unicamente ispirata agli immediati interessi governativi. Sono proprio questi schemi che devono invece cedere il paso, se si vuole che l’esito della battaglia rispecchi l’orientamento democratico del Paese-.
Il che significa — com’era chiaro fin dall’inizio e com’è ancor più chiaro nell’immediata vigilia — che il nuovo Presidente dovrà essere espresso da quell’arco di forze democratiche che copre i due terzi del Parlamento e che ha nei 300 voti della estrema sinistra una sua componente determinante. E’ un arco nel quale le sinistre laiche e cattoliche hanno una prevalenza che favorisce scelte limpide e innovatrici, comunque tali da far avanzare e non arretrare la situazione politica e da influenzare positivamente gli sviluppi della vita nazionale oggi pericolosamente esposta al logorio e all’involuzione.
Luigi Pintor
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La camera in pompa magna per l’elezione del Capo dello Stato
Montecitorio ore 10: comincia la «chiamata» per il quinto Presidente
Stampate settemila schede in previsione di ripetute votazioni (per Segni ne occorsero 9) – Lo schieramento dei partiti – L’orario delle telecronache dirette – Si farà la fila per accedere alle tribune del pubblico
Oggi, alle ore 10 precise, avrà inizio la prima votazione per l’elezione del quinto Presidente della Repubblica Italiana. Il primo fu Enrico De Nicola, il secondo Luigi Einaudi, il terzo Giovanni Gronchi, il quarto Antonio Segni.
L’Assemblea sarà presieduta dall’on. Bucciarelli-Ducci, presidente della Camera. Al suo fianco sarà il senatore Zelioli Lanzini, vice presidente del Senato. L’aula di Montecitorio, come di consueto in queste occasioni, sarà sistemata in modo da poter contenere un numero dl seggi sufficienti per la maggior parte dei «grandi elettori» che saranno presenti: Il plenum è di 963 persone (Il 964esimo è il Presidente supplente dello Stato, senatore Merzagora che non prende parte al voto) ed è presumibile che solo coloro che ne saranno impediti per gravi motivi non parteciperanno alle votazioni. Tra questi è il senatore Antonio Segni.
Gli elettori sono divisi come dal grafico sopra: 253 sono i voti comunisti (166 deputati, 85 senatori tra cui i due indipendenti Leva e Marullo, 2 delegati regionali); 399 sono i voti democristiani (260 deputati, 131 senatori tra cui il sen. Dante Bettoni che subentra al sen. Roselli deceduto lunedì, 6 delegati regionali); i voti socialisti sono 95 (61 deputati, 32 Senatori, 2 delegati regionali); i voti del PSIUP sono 38 (26 deputati e 12 senatori); i voti socialdemocratici sono 48 (33 deputati, 14 senatori, 1 delegato regionale); i voti liberali sono 57 (38 deputati e 19 senatori); i voti repubblicani sono 5 (tutti deputati); i voti monarchici 8 (tutti deputati); i voti missini 44 (27 deputati e 17 senatori) . Ci sono inoltre 6 voti di rappresentanti del Sudtiroler Volkspartei (3 deputati, 2 senatori e 1 delegato regionale) e 3 dell’Union Valdôtaine (1 deputato, 1 senatore, 1 delegato regionale). Un ex liberale (Cerutti Luigi) e un ex repubblicano (Pacciardi) fanno poi parte del gruppo misto. Del sei senatori a vita, solo quattro – Gronchi, Paratore, Parri e Ruini parteciperanno al voto.
Non ci saranno, oggi, preliminari di nessun tipo. Alle ore 10 il presidente Bucciarelli Ducci dichiarerà aperta la seduta, avvertendo che la votazione avverrà a scrutinio segreto per schede e che si procederà per appello nominale, chiamando prima i senatori, poi i delegati regionali e infine i deputati. Gli elettori avranno ricevuto la loro scheda all’ingresso nell’aula. Tutte le schede stampate sono bianche. ma, prevedendosi un numero elevato di votazioni, il numero di schede stampate è assai superiore al numero degli elettori. Si tratta, pare, di 7000 schede complessivamente, che per ogni votazione saranno contraddistinte da uno dei colori dell’arcobaleno. La prima votazione avverrà con scheda del tutto bianca. la seconda votazione avverrà con una scheda segnata da una fascia verde, e così via. È impossibile allo stato attuale delle cose, prevedere quale sarà il colore della scheda che ci darà il nuovo Presidente della Repubblica
L’appello nominale — la cosiddetta «chiama» — sarà effettuato a turno dai segretari della Camera. Si tratta di otto parlamentari che rappresentano i vari gruppi e che vengono eletti all’inizio di ogni legislatura, a collaborare con la Presidenza. Il più giovane dei segretari è l’on. Passoni, del PSIUP, di Brescia. Il compagno Vespignani è invece il più giovane come esperienza parlamentare: egli infatti è alla sua prima legislatura. Gli altri segretari sono i dc Brasutti e Franzo, il liberale Bignardi, il missino Delfino, il socialista Fabbri, il compagno Magno.
L’appello avrà inizio, quindi, pochi minuti dopo le 10 e si protrarrà per oltre un’ora. Ognuno del chiamati andrà a deporre la propria scheda nell’urna collocata sul tavolo solitamente riservato al governo, immediatamente sotto lo scanno della Presidenza. Quella che chiamiamo «urna» è in realtà un grande cesto di vimini foderato di velluto verde, che già è servito per le precedenti votazioni presidenziali. Dopo che tutti presenti avranno votato. il Presidente dichiarerà chiusa la votazione e procederà egli stesso allo scrutinio. Sarà Il dott. Cosentino, segretario della Camera, seduto un po’ in basso alla sinistra del presidente, a porgergli una per una le schede e Bucciarelli Ducci leggerà ad alta voce i nomi segnati.
Contemporaneamente due segretari della presidenza, in collaborazione con alcuni funzionari della Camera, terranno il conto degli scrutinati. È quasi certo che nella giornata di oggi si terranno tutte e tre le prime votazioni per le quali è richiesta la maggioranza due terzi dell’Assemblea. Si tratterà di votazioni puramente indicative, per il momento. Il gioco vero, già in pieno svolgimento a livello delle riunioni dei gruppi e delle correnti e del colloqui riservati, e di cui oggi si avranno scarsi riflessi in aula, avrà inizio invece domani quando si passerà alla quarta votazione, quella che richiede la sola maggioranza di 483 voti.
Tutte le votazioni saranno trasmesse per televisione. Saranno messe in onda tre telecronache dirette: la prima dalle 9.50 alle 12.30; la seconda a partire dalle ore 17 circa e la terza a partire dalle ore 20 circa. Ciò che i telespettatori non vedranno, però, sarà il lavorio intenso che si svolgerà nei corridoi e nei gruppi, l’affollamento del Transatlantico, la stanchezza e il nervosismo che certamente caratterizzeranno queste sedute. Due anni fa. quando, dopo la nona votazione, l’on. Segni ottenne un numero di voti sufficiente per il Quirinale, uno dei suoi più fedeli sostenitori svenne per l’emozione. Già da ieri, del resto, a Montecitorio si respirava l’aria che si è soliti definire delle « grandi occasioni» e che è fatta dall’incessante e contraddittorio diffondersi di notizie, di indiscrezioni e di smentite, di curiosità e di incertezza.
Contemporaneamente, nel palazzo reso in molti corridoi quasi impraticabile dai lavori in corso, squadre dl operai e di commessi si affannavano per dare all’aula, al Transatlantico, ai saloni un aspetto in qualche modo solenne. Nuove corsie rosse venivano distese sui pavimenti, nei corridoi sono stati sistemati vasi di fiori, all’ingresso di via della Missione è stato organizzato un guardaroba supplementare. Il servizio di controllo è stato rinforzato ed è particolarmente rigoroso. Già sono stati distribuiti un numero di biglietti per il pubblico superiore a quello dei posti esistenti.
Chi desidera assistere alle sedute dovrà quindi disporsi a fare una fila non breve. Anche le tribune della stampa saranno affollate. I giornalisti sono stati invitati a presentarsi in abito scuro. Il personale della Camera ha spolverato le uniformi di gala. L’ingresso sarà quello consueto sulla Piazza di Montecitorio, ma siccome i lavori per la sistemazione dell’obelisco non sono ancora ultimati, le macchine del parlamentari dovranno parcheggiare in piazza del Parlamento e in piazza in Lucina. È facilmente prevedibile che il traffico, attorno al palazzo, sarà in questi giorni più difficile del solito.