L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1955 -GIOVANNI GRONCHI – PRIME SEDUTE

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L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1955 -GIOVANNI GRONCHI – PRIME SEDUTE

 

L’elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana sull’organo del Partito Comunista Italiano

Venerdì 29 Aprile 1955 – Anno XXXII (Nuova Serie)      N. 119 – Una copia L. 25 – Arretrata L. 30

I primi tre scrutinii non hanno consentito l’elezione del capo dello stato

GRONCHI PRECEDE DI TRENTASEI VOTI MERZAGORA IL CANDIDATO SOSTENUTO DA FANFANI E DA SCELBA

 

La solenne seduta a Montecitorio – Nessuno dei candidati ha ottenuto la maggioranza necessaria – Al terzo scrutinio l’on. Gronchi, che nelle votazioni precedenti era passato da 30 a 127 voti, ne ha raccolti 281 contro 245 di Merzagora, 61 di Einaudi, 14 di Segni, 12 di De Caro e 195 schede bianche

GRANDE AFFERMAZIONE DI PARRI CHE AL PRIMO SCRUTINIO HA OTTENUTO 308 VOTI

La cronaca

Il Presidente della Repubblica non è stato ancora eletto. Dopo ben tre scrutini che, per l’intera giornata di ieri, hanno impegnato nell’aula di Montecitorio 590 deputati, 243 senatori, 3 delegati della Regione siciliana, 3 della Sardegna, 3 dell’Alto Adige ed uno della Val d’Aosta, il Presidente Gronchi ha convocato per oggi pomeriggio, alle ore 13,30, una nuova seduta plenaria dei due rami del Parlamento. I primi tre scrutini sono andati a vuoto perché nessuno dei candidati ha raggiunto la maggioranza qualificata dei due terzi dei membri dell’Assemblea, prevista dalla Costituzione. Per il quarto scrutinio basterà la maggioranza semplice dei membri dell’Assemblea. Quindi, con tutta probabilità, oggi l’Italia conoscerà il nome del terzo Presidente della Repubblica.

Attesa della folla

La straordinaria giornata parlamentare, che non si ripeteva da sette anni (tanto dura in carica il Capo dello Stato) è cominciata verso le otto del mattino. A quell’ora i primi curiosi hanno cominciato ad attardarsi sulla piazza del Parlamento, ai piedi della scalea d’onore, che porta al secondo ingresso principale di Montecitorio. Questo accesso è stato aperto pochi giorni fa, quando l’ingresso che dà su piazza Montecitorio è stato sbarrato per i lavori di restauro alla pericolante facciata cinquecentesca. Un picchetto d’onore dell’Aeronautica montava la guardia alla sommità della scalca, insieme con i due giganteschi guardiaportone in divisa napoleonica azzurra con bande d’argento, spadino, feluca con penne di struzzo e mazza. Il tono vivo dei tappeti spiccava sul marmo color avorio dell’ingresso, dove erano state disposte grandi piante di azalee bianche e rosa. I primi deputati che sono entrati da questo ingresso hanno trovato uno stuolo da fotografi e operatori cinematografici pronti a riprendere preliminari della seduta. La folla sulla piazza illuminata dal sole è andata crescendo col passar del tempo, sicchè a un certo punto i vigili urbani son dovuti intervenire per regolare il traffico. Davanti agli ingressi delle tribune stazionavano lunghe di cittadini. Nessuna innovazione particolare nell’interno del palazzo ravvivato, come di consueto, da piante sempreverdi. Parecchie novità, invece, si notavano nell’aula. Le poltrone aggiunte, le macchine per la ripresa cinematografica, le due poltrone situate sul seggio presidenziale si erano già viste in altre sedute comuni dei due rami del Parlamento per l’elezione dei giudici della Corte costituzionale; mai prima di ieri, però, la televisione era entrata nell’aula di Montecitorio. Tre grosse macchine, una sotto la tribuna della stampa e due nelle tribunette degli ex-deputali ed ex-senatori richiamavano l’attenzione dei presenti per le loro vivaci luci rosse e per l’armeggio degli operatori. Dall’alto della grande vetrata che sorregge il lucernario, ventitré riflettori gettavano una luce giallastra sull’anfiteatro ed, in modo particolare, su un’ampia fascia rettangolare che comprende il banco della Presidenza, il banco del governo, il corridoio ove è posta l’urna di vimini, i settori estremi della sinistra e della destra, e il centro dell’emiciclo. Ai due ingressi dell’aula, quattro commessi consegnano ai votanti la scheda bianca per la votazione. Mancano cinque minuti alle 10 quando trilla nel Transatlantico il campanello che annuncia l’inizio della seduta e deputati, senatori e delegati regionali cominciano ad affluire nell’aula ed occupano i settori secondo le tradizionali divisioni. Alle 10,03 Gronchi varca la porta di destra seguito da Merzagora e da tutti i membri degli uffici di Presidenza della Camera e del Senato. I due Presidenti sono vestiti di blu come la maggioranza dei parlamentari. Tra questi vestiti di circostanza spiccano però molti abiti grigi e le colorate toilettes delle deputate. Gronchi assume la Presidenza con la tradizionale scampanellata. Alla sua destra, un palmo più in basso, siede Merzagora, poi il segretario Mazza, e i resocontisti della Camera. Alla sinistra di Gronchi è il segretario generale della Camera avv. Piermani, quindi il vice-Presidente della Camera Targetti e i segretari della Camera Guadalupi e Laconi. Sotto di loro, al banco del governo, Scelba, i ministri e i sottosegretari siedono gomito a gomito per entrare nell’inquadratura delle fotografie. Qualcuno, però, come Vigorelli, rimano in piedi. Nella tribuna diplomatica, affollatissima, sono presenti l’ambasciatore sovietico Bogomolov, il rappresentante del governo londinese, il nunzio apostolico monsignor Fietta in zucchetto rosso, i ministri di Ungheria, Polonia e di tutti gli altri Paesi accreditati a Roma, ad eccezione degli ambasciatori di Francia e del Belgio. Al loro fianco, nella tribuna presidenziale, stanno le consorti dei Presidenti della Camera e del Senato. Poi, dopo una fila di poltroncine vuote riservate alla Presidenza della Repubblica, si nota l’ambasciatore americano signora Clara Luce. Nella contigua tribuna riservata normalmente ai senatori, che oggi sono invece nell’aula, siedono invitati ed ex-parlamentari come il sindaco di Bologna Dozza e l’on. Giordani. Le tribune del pubblico sono tutte affollate, tranne una, nel settore di sinistra. I principali giornali italiani e stranieri hanno i loro rappresentanti nella tribuna della stampa, frammischiati con fotografi e operatori cinematografici di parecchie nazionalità. (I documentari della seduta saranno trasmessi oggi stesso dalla rete televisiva francese e americana). Il tintinnio del campanello presidenziale spegne di colpo il brusio che sale dall’aula interamente gremita e dall’emiciclo ove, in piedi, stanno i parlamentari che non sono riusciti a trovare posto. Gronchi ricorda che l’ordine del giorno reca la elezione del Presidente della Repubblica e avverte che la votazione avrà luogo a scrutinio segreto per schede, cominciando con l’appello nominale in ordine alfabetico dei senatori, quindi dei delegati regionali e infine dai deputati.

Votano i senatori

Alle 10,10, il segretario Mazza comincia la chiamata dal nome del senatore Agostino. Il voto si svolge rapidamente e con regolarità: ogni parlamentare sfila sotto il banco della Presidenza, depone la scheda nel cesto di vimini foderato di raso verde ed esce dall’aula. De Nicola, prima di votare, stringe la mano a Targetti ed a Gronchi: lo stesso fa il senatore a vita Jannaccone. L’appello dei senatori prosegue con monotonia fino al nome di Merzagora. Gronchi gli si rivolge per invitarlo a votare, ma il Presidente del Senato si schermisce in quanto è uno dei candidati ufficialmente designati. Si vedrà, poi, che anche Granchi non voterà. In un quarto d’ora, la chiamata dei senatori è finita e alle 10,25 il segretario fa l’appello dei dieci delegati regionali. Un moto di curiosità li accompagna al momento del voto, giacche essi per la prima volta partecipano a questa votazione. Sono Bondaz della Val d’Aosta, il compagno Montalbano, Bonfiglio e Restivo della Regione siciliana, Corrias Alfredo, Corrias Elisio e il compagno Lay della Sardegna. Odorizzi, Menapace ed Erkert dell’Alto Adige. Due minuti dopo cominciano a votare i deputati: la curiosità si appunta sulle personalità più in vista e sulle deputate. Dopo Lina Merlin, unica senatrice, la prima deputata che vota è Gina Borellini, medaglia d’oro della Resistenza, come Caria Capponi che la segue a breve distanza. Ed ecco Gisella Floreanini, Giuliana Nenni. Ma-risa Rodano, l’elegante democristiana Emanuela Savio. Alle 11.02 vota Nenni. sei minuti dopo Scelba, e alle 11,10 Togliatti.

Terminato l’appello dei deputati, Gronchi indice un’altra chiamata per consentire ai ritardatari di votare, E’ lo stesso Presidente della Camera che pronuncia ad alta voce i nomi di una ventina tra senatori e deputati che sono assiepati dinanzi al corridoio dell’urna. Tutti si attendono di veder votare per la prima volta, per il Presidente della Repubblica, l’unico sacerdote membro del Parlamento. Ma don Sturzo non è in ritardo, bensì assente. Quindi l’on. Gronchi chiude la votazione e un commesso depone sul tavolo del segretario generale l’urna colma di schede. Gronchi controlla che i segretari siano pronti per lo scrutinio e fa cenno all’avvocato Piermani di aprire il cestello. Merzagora si è allontanato. D’improvviso un silenzio carico di tensione si diffonde nell’aula. Gli sguardi di tutti son rivolti verso il Presidente. Il segretario generale affonda il braccio nell’urna, ne trae la prima scheda, la spiega e la porge a Gronchi. Il Presidente legge con voce ferma e chiara: «Einaudi». Al nome dell’attuale Capo dello Stato segue quello di Cadorna, poi quello di Merzagora, quindi una scheda bianca. Gronchi depone le schede in vari mucchietti sul suo tavolo mentre i segretari segnano i voti. Quando prende in mano la quinta scheda Gronchi con una impercettibile esitazione annuncia: Gronchi. Subito dopo, il nome di Parri risuona per la prima volta nell’aula. Mormorii e qualche risata accolgono quindi l’annuncio che un voto è andato a De Caro. In aula, moltissimi deputati seguono lo scrutinio segnando I voti attribuiti ad ogni candidato. Proprio sotto la tribuna della stampa, Fanfani, circondato da Moro, Rumor, Gui e Bettiol ha disegnato un complesso specchietto con numerose colonnine in bell’ordine. I risultati che a mano a mano Gronchi va leggendo tradiscono però le aspettative del segretario democristiano e Fanfani, verso la metà dello scrutinio, fa a pezzi il suo specchietto e lascia a Moro l’incarico di seguire l’andamento della votazione. Ben presto cominciano a delinearsi le posizioni. Quando sono scrutinate una ventina di schede, Merzagora registra un leggerissimo vantaggio su Parri. Ma subito dopo la situazione si rovescia e il candidato delle sinistre balza al primo posto. E’ Parri, infatti, che tocca per primo il limite dei cinquanta voti; lo seguono Merzagora con 34, Einaudi con 27, Gronchi con 9, Segni e Cadorna con 2 e De Caro con un sol voto. Finora si hanno 22 schede bianche. A questo punto son state scrutinate 147 -schede e il risultato può cominciarsi a considerare indicativo. Passano lentamente i minuti in una atmosfera di ansia e di tensione. Tutti sanno, naturalmente, che al primo scrutinio (come del resto al secondo e al terzo) per esser eletti occorre superare la maggioranza dei due terzi e cioè i 562. Nessun candidato ha, in partenza, prospettive di successo immediato. Ciò non di meno questa circostanza non toglie drammaticità all’attesa, giacché anche la prima votazione darà indicazioni politiche di grandissimo :interesse, che influiranno poi -sull’esito finale.

Il distacco di Parri si fa di minuto in minuto più forte. Il popolare Maurizio della guerra partigiana raggiunge i 125 voti quando Merzagora è a quota 91, Einaudi a 50 voti, Gronchi a 11, Segni a 5, Cadorna sempre a 2 e De Caro immutabilmente a uno. Le schede bianche son salite a 39. Il silenzio che segue ad ogni nome viene interrotto da uno scroscio di risate quando dall’urna esce un voto per Del Fante, un pittoresco deputato monarchico. Il prescelto, come non avvertendo il comico della situazione, si alza con compunzione e accenna un inchino. Mormorii ironici seguono anche la lettura del nome di Zoli e qualche risatina commenta quello di Tupini. Poco dopo è ancora il nome di Del Fante a risuonare nell’aula e un maligno da sinistra commenta: l’ha persuaso lui. Merzagora ha totalizzato 111 voti contro i 150 andati a Parri quando Gronchi fa ancora una volta il nome del Presidente del Senato. Ma è un lapsus: Granchi, si arresta a «Merza…» poi si riprende e scandisce: «Mi correggo: Pirelli». E’ il nome del potente monopolio della gomma di cui Merzagora è stato direttore generale.

Quando son stati scrutinati i due terzi delle schede, le posizioni sono le seguenti (il linguaggio sportivo forse non si confà all’avvenimento, ma bisogna dire che i risultati vengon seguiti con l’ansia che accompagna una gara): Parri 200, Merzagora 157. Einaudi 83, Gronchi 22, Segni 8. Cadorna 4, Del Fante 3 (al terzo una voce ha gridato: s’è fatto un partito, ormai), Paratore 3, Pirelli 2 (il secondo voto per l’industriale milanese ha scatenato le malelingue). Pella. Zoli, Tupini e il solito De Caro con un voto. Chi abbia dato questi voti dispersi resterà un mistero. Le schede bianche sono ora 59. A questo punto è chiaro come si sono orientati gli schieramenti. Gli unici gruppi che hanno votato compatti il loro candidato sono stati i comunisti, i socialisti e gli indipendenti di sinistra: la convergenza delle sinistre cui nome di Parri era nota. Del tutto imprevista, invece, la profonda frattura verificatasi nell’ambito democristiano. L’uomo designato da Scelba e dai Fanfani non ha infatti avuto i suffragi di una considerevole parte dei democristiani. A chi hanno manifestato le loro preferenze i dissenzienti? I voti andati a Gronchi, Segni, Cadorna e una parte dei suffragi di Einaudi parlano chiaro. Le correnti minoritarie democristiane han disperso i loro voti su questi candidati. Einaudi ha avuto anche i suffragi dei partiti minori. Le destre hanno votato scheda bianca. Lo scrutinio continua ininterrotto mentre scocca mezzogiorno. Le posizioni di Merzagora risalgono leggermente, poi Parri torna ad aumentare il distacco. quando il capo partigiano ha superato i 230 voti Merzagora è assai lontano dai 200. Einaudi e Gronchi seguono distanziati rispettivamente con 97 e 26 voti. Lo spoglio delle ultime schede rende ancor più evidente il clamoroso scacco dei capi clericali e accresce il successo di Ferruccio Parri. Sicché di queste ultime battute non resta che registrare i fattarelli curiosi. Del Fante ha ancora un altro voto i suoi amici monarchici lo applaudono ironicamente. Un oscuro deputato democristiano, La Russa, ottiene due suffragi. uno ne guadagna Paolo Rossi, eterno candidato della socialdemocrazia per tutte le cariche che il PSDI non riesce a conseguire. L’ultimo nome che chiude lo scrutinio è quello di Einaudi che l’ha aperto. Sono le 12:15 quando l’avvocato Piermani consegna al commessi l’urna vuota. Detti momento in momento l’annuncio del risultato: tutti i parlamentari sono nell’aula, dove fa molto caldo. Ronzano le macchine da ripresa e gli obiettivi delle camere televisive scorrono lentamente in larghe panoramiche sui vari settori. Ma ancor prima dei risultati ufficiali, i risultati ufficiosi sono noti grazie alla paziente fatica di scrutatori volontari. e dei risultati si parla intorno ai leader dei partiti, al banco del governo accanto a Gronchi. Togliatti si consulta con Pajetta, Scoccimarro, Ingrao, Laconi e altri compagni, attorno a Nenni sono Luzzatto, Lombardi, De Martino, Malagugini. Un capannello circonda Fanfani alla sommità della «montagna» e, dai gesti si capisce che dirigenti democristiani sono sorpresi e preoccupati. era il banco del governo, Scelba chiacchiera con Saragat Villabruna e Martino.

Alle 12,35 Gronchi, nel silenzio più assoluto, comunica il risultato della votazione.

Presenti e votanti: 815 ; maggioranza speciale dei 2/3 degli 843 aventi diritto al voto: 562. Hanno ottenuto voti:

Parri 308

Merzagora 228

Einaudi 120

Gronchi 30

Segni 12

voti dispersi 23

schede bianche 89

schede nulle 5

I deputati della sinistra si levano in piedi e gridano: «Viva la resistenza!» applaudendo calorosamente all’indirizzo di Parri. La manifestazione si prolunga per alcuni minuti, Qualche fascista i rumoreggia con cautela e da sinistra si grida: «Siete scappati davanti ai partigiani! Votate Mussolini! ». Pajetta aggiunge: « No. Per voi va meglio Starace!». I fascisti si placano ben presto e più forte di prima risuona Il grido: «Viva la Resistenza!».

Infine tronchi avverte che, non essendo stata raggiunta la maggioranza speciale dei due terzi, è necessario un nuovo scrutinio, che si svolgerà alle 15,30. I deputati escono in massa e nel Transatlantico, affollato come non mai, si intercettano i giudizi e i commenti sui risultati della prima votazione. Il fatto che più ha colpito ogni parlamentare è la frattura del gruppo democristiano, che ha assunto proporzioni clamorose ed imprevedibili: 373 erano i democristiani che avrebbero dovuto votare per Merzagora, ma il candidato di Scelba e di Fanfani ha ottenuto appena 228 voti. Oltre un terzo dei parlamentari democristiani ha disobbedito alle direttive del partito. Notevolissima è l’affermazione di Patri, che ha conseguito non soltanto più voti del candidato clericale, ma ha anche più voti del numero complessivo dei parlamentari di sinistra

La lunga interruzione prima del secondo scrutinio vede i capi della DC impegnati in consultazioni febbrili. per cercare una via d’uscita al vicolo cieco in cui sono cacciati. Ma quando la seduta è riaperta e riprende la votazione, non sono emersi fatti nuovi di carattere decisivo. Le sinistre, dopo che Parri ha chiesto che non si insistesse sul suo nome, vanno all’urna votando scheda bianca in attesa che dalla maggioranza emerga una indicazione capace di portare a un accordo, i dirigenti democristiani insistono su Merzagora, i minori rimangono ancorati al nome di Einaudi, le minoranze democristiane si orientano su Gronchi. La maggioranza dei monarchici e dei missini continua a votare scheda bianca o a disperdere i suffragi. Si prevedeva che le destre votassero per Merzagora ma poi, evidentemente, non hanno voluto rivolgere i loro suffragi su un candidato considerato ormai «bruciato». Nell’aula le operazioni di voto e di scrutinio si ripetono con maggiore rapidità. Tra i voti dispersi ben cinque vanno a Sepe. Merzagora lascia ancora vuoto il suo seggio fino a pochi minuti prima della proclamazione dei risultati che sono i seguenti:

Presenti e votanti: 808

Maggioranza nec. : 562

Hanno ottenuto voti:

Merzagora: 223

Gronchi: 127

Einaudi: 88

Segni: 13

Voti dispersi: 24

Schede bianche: 332

Schede nulle: 2

Constatato nuovamente che non è stata raggiunta la maggioranza necessaria, Gronchi ricorda che occorre indire una terza votazione. Perché però gli è stato chiesto un intervallo per consentire ai gruppi di consultarsi, il Presidente sospende la seduta per due ore, e cioè fino alle 19.30. Dal confronto col primo risultato emergono fatti interessanti: innanzitutto il candidato del gruppo dirigente clericale ha ottenuto meno voti di prima; parecchie posizioni ha perduto anche Einaudi perché quella pattuglia di democristiani che l’aveva votato stavolta si è orientata per Gronchi; il Presidente della Camera ha compiuto un balzo passando da 30 a 127 voti. Qualche posizione ha guadagnato anche Segni. Il terzo cd ultimo scrutinio della giornata si apre anch’esso senza prospettive. Si sa che i democristiani insisteranno ancora su Merzagora, pur essendo coscienti che il loro candidato non ha alcuna possibilità di successo e neppure di semplice affermazione politica, giacché molti parlamentari della D.C. non vogliono votarlo. Quando Gronchi indice questa votazione l’aula sembra un grande studio cinematografico. Dal lucernario i riflettori proiettano sull’emiciclo una luce violenta e bianchissima che non si confonde e non si attenuta più, come in mattinata, con quella naturale che filtrava dalle vetrate. Unico fatto di rilievo è l’applauso che le sinistre e altri settori dell’Assemblea rivolgono all’ex-presidente De Nicola quando egli vota. Segue poi lo scrutinio, che vede sin dal principio al primo posto Gronchi, seguito da Merzagora e poi da Einaudi. Alle 21,30 si hanno i risultati. I votanti sono 817. La maggioranza necessaria è sempre di 562 voti. Hanno ottenuto voti:

Gronchi: 281

Merzagora: 245

Einaudi: 61

Segni: 14

De Caro: 12

Voti dispersi: 7

Schede bianche: 195

Schede nulle: 9

Gronchi è passato in testa: hanno votato per lui più democristiani di prima e i parlamentari socialisti; Merzagora ha guadagnato alcuni punti con l’appoggio di una parte delle destre; le schede bianche sono dei comunisti; i partiti minori su sono divisi tra Einaudi (ancora in regresso) e De Caro.

A Gronchi non resta che indire il quarto scrutinio. Su richiesta dei democristiani questo avverrà oggi alle 15,30. E basterà la semplice maggioranza dei membri dell’Assemblea (e cioè 422) per eleggere il Presidente. Oggi, dunque, la giornata decisiva.

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Dichiarazione di Parri

DOPO LA PRIMA VOTAZIONE

Nobile gesto di Parri che ritira la candidatura

Dopo la prima votazione, nella quale aveva riportato 308 voti, un numero di suffragi cioè largamente superiore a quelli ottenuti dagli altri candidati, il sen. Ferruccio Parri ha fatto la seguente dichiarazione:

«Ritengo di dover interpretare i voti che si sono raccolti sul mio nome come un’affermazione di quegli ideali di fedeltà democratica e costituzionale che sono legato diretto della lotta di Liberazione. Vivamente grato dell’attestazione di fiducia, stimo tuttavia doveroso per me facilitare la concentrazione dei voti e quindi la scelta del Presidente della Repubblica, fiducioso che essa sarà guidata dalle stesse esigenze ideali. Prego pertanto gli onorevoli parlamentari di voler desistere da ulteriori votazioni sul mio nome».

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Come gli intrighi di Scelba e di Fanfani hanno spaccato la DC in quattro tronconi

Il peso determinante delle sinistre per una larga maggioranza – La progressiva confluenza di voti dc per Gronchi nonostante i richiami alla “disciplina„ – Fanfani e Scelba cercano l’appoggio dell’estrema destra

Grande è stato il significato politico delle prime votazioni del Parlamento nazionale per la elezione del nuovo Capo dello Stato. La solennità delle sedute, i particolari esteriori e scenografici pur così ricchi, lo stesso esito interlocutorio dei primi scrutini, sono stati offuscati dalla sostanza, dalle indicazioni politiche esemplari che già la prima giornata ha offerto all’intiero Paese.

L’affermazione di Parri

Uno è l’avvenimento che sugli altri ha prevalso: l’affermazione netta e incontrastata, al primo scrutinio, della candidatura di Ferruccio Parri. La maggioranza relativa delle due Camere riunite ha portato in primo piano il nome di un uomo che è stato tra i migliori capi dell’azione unitaria delle forze democratiche per la liberazione del Paese. Quel voto è valso a riaffermare la continuità e validità del programma della Resistenza e altresì il peso decisivo e determinante che esercitano nel Parlamento le forze che di quel programma sono il principale sostegno. Né quel voto ha rappresentato un episodio esclusivamente parlamentare: al contrario esso ha riflettuto la forza di un orientamento ideale, che ha trovato proprio in questi giorni una sì eccezionale conferma nelle celebrazioni unitarie della Resistenza. Non meno esemplare, certo, è stato anche il modo come Parri ha rinunciato alla candidatura, motivando il suo ritiro con il desiderio di favorire il formarsi di una maggioranza che —sulla linea offerta dai primi risultati — si ispirasse alle stesse esigenze ideali di fedeltà democratica e costituzionale, alle stesse ragioni unitarie della lotta di Liberazione. Ai 308 voti raccolti intorno al nome di Parri — in numero dunque anche maggiore di quello dei parlamentari comunisti e socialisti — hanno fatto riscontro i 228 ottenuti dal candidato ufficiale di Fanfani e di Scelba: e di qui è uscita la seconda, e clamorosa, indicazione politica di questa prima giornata. La bruciante sconfitta di Fanfani e di Scelba è apparsa subito agli occhi degli osservatori politici come superiore a qualsiasi previsione. Il calcolo numerico, infatti, è elementare: 373 sono i senatori e deputati democristiani, e se si tien conto che alcuni senatori del gruppo misto e altri singoli parlamentari hanno votato per il Presidente Merzagora, se ne deduce che solo poco più della metà dei democratici cristiani ha seguito le indicazioni di Fanfani e Scelba. E’ noto come Fanfani e Scelba avessero imposto tale candidatura in contrasto con larghe correnti del loro partito, senza alcun accordo con gli alleati minori, sperando forse in una maggioranza allargata a destra. marcandone soprattutto il carattere di parte attraverso il passo compiuto ufficialmente da Moro e Ceschi e il ringraziamento dello stesso Merzagora alla D. C. L’esito del voto ha rivelato l’inesistenza di una maggioranza intorno alle posizioni dell’on. Pantani, la crisi Quindi di una politica che si ostina a negare i reali rapporti di forza e a ispirarsi a criteri di faziosità perfino nei confronti del proprio partito stesso. Questa politica è arrivata al risultato di creare una crisi di coscienza e di disorientamento tra le file democristiane. Da questa posizione, Fanfani e Scelba non hanno desistito neppure quando si è visto. già al primo scrutinio, che una parte dei democristiani avevano votato per Gronchi e Segni, e un’altra parte per Einaudi insieme coi partitini. Il risultato to dell’insistenza è stato che il presidente del Senato si è visto esposto a un più marcato insuccesso, mentre una più larga parte di democristiani appoggiavano chiaramente l’on. Gronchi. Gli stessi esponenti delle correnti minoritarie della D. C. non hanno nascosto, negli intervalli tra una votazione e l’altra, l’irritazione loro per lo scacco continuato cui Fanfani e Scelba hanno esposto il partito, ed anche per la posizione difficile nella quale è stato posto il presidente Merzagora.

Uomini allo sbaraglio

Non è la prima volta che i capi d.c. espongono all’insuccesso uomini ai quali chiedono la collaborazione. Non furono forse i capi democristiani a costringere a suo tempo De Nicola e Paratore a ritirarsi, a servirsi di Ruini nel modo che tutti ricordano? Non è stato proprio Scelba a porre inopportunamente lo stesso Einaudi nella condizione di registrare un progressivo declino nei tre scrutini, avvenuti ieri ? Il grave è che nemmeno alla terza votazione Scelba e Fanfani hanno mostrato di intendere la indicazione che veniva dall’orientamento dei diversi gruppi e dal loro stesso partito. Eppure, dopo il secondo voto, la situazione era chiara. Accanto alla contrazione dei voti — tra il primo e il secondo scrutinio — ottenuti dal candidato di Fanfani, vi è stato l’aumento dei voti raccolti dall’onorevole Gronchi: ciò che ha confermato la esistenza di una forte corrente d.c. in favore dell’attuale Presidente della Camera. In pari tempo, il nucleo più compatto di voti si è espresso attraverso le schede bianche, secondo una decisione concordemente presa dai comunisti e dai socialisti dopo il ritiro di Parri: una indicazione politica molto chiara e lineare, questa, per significare che la forza determinante dei rappresentanti di un terzo dell’elettorato è pronta a sostenere quel candidato che una parte del Parlamento proponga, che sia uomo di sicura fede repubblicana e antifascista e sia al di sopra di strette posizioni di partito, e intorno al quale possa raccogliersi una larga maggioranza democratica. L’esito della seconda votazione, in effetti, ha indicato che una tale possibilità esiste. Ma Scelba e Fanfani hanno voluto ancora ostinarsi disperatamente sulla candidatura Merzagora, con il risultato di un terzo insuccesso, e di un notevole allagarsi dei suffragi per Gronchi. E Gronchi è passato in testa. Per la terza volta, nella giornata. la D. C., in seguito all’infausta politica del suo attuale gruppo dirigente, si spaccava in più tronconi.

I partiti minori

Infine, da questa prima giornata è risultata la funzione servile, quasi da bestie da soma, nella quale sono stati relegati i partiti minori da un lato, prigionieri delle loro impostazioni particolaristiche e i cui voti sono pertanto praticamente scomparsi, e d’altro lato i gruppi di estrema destra: i quali sembrano concepiti da Fanfani come riserva di questa o quella manovra che i dirigenti della D.C. e del governo meditino di tentare. Risulta che non pochi voti della destra estrema hanno sostenuto Merzagora nella seconda votazione, senza successo tuttavia per l’ulteriore spostamento di voti democristiani in favore di Gronchi. Risulta che passi verso i monarchici sono stati compiuti dai capi d.c. per sollecitare un appoggio alla candidatura di Einaudi o a una candidatura Segni da contrapporre come extrema ratio alla candidatura Gronchi. I monarchici affermano di aver risposto negativamente. Vere o no che siano tali intenzioni, si resta in questo modo nel campo dell’intrigo e dell’oscura manovra di corridoio. E ognuno vede — alla luce dei fatti — come non possa essere tale metodo la via giusta e corretta per l’elezione della suprema Autorità dello Stato.