La elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana
L’UNITÀ
ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Quotidiano / sped. abb. postale / Lire 50 * * Anno XLI / N. 332/ Domenica 6 dicembre 1964
MARIO ALICATA Direttore
LUIGI PINTOR Condirettore
MASSIMO GHIARA Direttore responsabile
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Malgrado gli ultimi tentativi di rinvio da parte della DC
Le dimissioni di Segni annunciate stasera
Il consiglio dei ministri alle ore 18 – L’annuncio sarà dato alle Camere e all’opinione pubblica – Il 18 dicembre convocato il Parlamento per l’elezione del nuovo Capo dello Stato – I dorotei premono per una soluzione moderata
Secondo ogni previsione, oggi nel pomeriggio il Consiglio dei Ministri prenderà atto del messaggio con cui Segni dichiara di dare le dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica. Informazioni di agenzia recavano ieri che la lettera di Segni è già pronta e firmata. Moro dovrebbe darne lettura questa sera ai ministri. Dopodiché la lettera sarebbe pubblicata lunedì mattina dalla Gazzetta ufficiale. Sempre nella mattinata di lunedì (o questa sera stessa) Moro informerebbe ufficialmente dell’avvenuta presentazione delle dimissioni Merzagora e i Presidenti delle due Camere. Solo allora Bucciarelli-Ducci potrà convocare il Parlamento in seduta comune (si presume per il 18 del mese) e le assemblee regionali potranno provvedere alla elezione di loro presentanti (tredici in tutto) che prenderanno parte alla elezione del nuovo Capo dello Stato.
Sin qui le notizie, ormai ufficiose, che circolano indisturbate. Esse starebbero a dimostrare che la situazione ha subito un cambiamento in direzione di un’accelerazione della soluzione, per iniziativa dello stesso Segni, del quale si continua a riaffermare la completa lucidità di pensiero. I medici, a quanto si apprende, entrerebbero però anch’essi nella procedura con un comunicato — che non si sa se precederà o seguirà l’annuncio della lettera — nel quale si confermerà che Segni, pur essendo in pieno possesso delle sue facoltà, non può tuttavia esercitare pienamente le funzioni che spettano a un Capo dello Stato avendo bisogno di un prolungato periodo di riposo.
Accanto a questo iter che ormai sembra quello stabilito, restano tuttavia altre indicazioni che, allo stato dei fatti lasciano aperta la porta a soluzioni che, pur mantenendo la strada delle «dimissioni» e scartando quella della dichiarazione di «impedimento» (respinta da Segni), potrebbero portare a ulteriori ritardi e, quindi, spostare a dopo le feste la elezione del Capo dello Stato. Quali siano queste altre soluzioni di cui alcuni alti esponenti dorotei continuano a parlare non è molto chiaro. Si è accennato, a questo proposito, a un puro e semplice rinvio della comunicazione ai ministri. Ma il preannuncio di Moro, avvenuto giovedì, che ha accreditato le prime notizie sulle di missioni, rende difficile ulteriori rinvii. Si è anche parlato del ruolo che spetterebbe a Merzagora nella prassi delle dimissioni, attorno alle quali si è disquisito se debbano concretarsi in un «messaggio alle Camere» o in una sorta di «atto di abdicazione». Che comunque esistano manovre per spostare a dopo Natale la elezione (e ciò per dare tempo ai dorotei di portare a fondo la manovra per un loro candidato) appare abbastanza chiaro. Ma appare anche chiaro che, su questo punto, esiste contrasto all’interno della maggioranza. I «laici» hanno già i tempi della discussione sulle candidature, riunendo i loro direttivi, facendo i primi nomi. Lo stesso Nenni, – interrogato ieri dai giornalisti – ha risposto seccamente che certamente la elezione del nuovo Capo dello Stato dovrà aver luogo prima di Natale. Nenni ha anche escluso che della lettera di dimissioni le Camere debbano essere Informate in modo diverso mediante una comunicazione del Presidente del Consiglio ai Presidenti dei due rami. Non c’è analogia, infatti, tra questa circostanza e quella della crisi di governo, caso in cui le comunicazioni debbono essere fatte dal governo dinanzi alle Camere aperte.
Oggi stesso, la direzione del PRI riunirà la per direzione decidere sulla proposta di La Malta intesa a giungere rapidamente a un contatto tripartito dei «laici» per presentare una candidatura comune (Saragat).
Sulla questione della Presidenza, l’Avanti! di stamane pubblica un editoriale del suo direttore. In esso mentre si ricorda, a proposito della elezione di Gronchi, che «non sempre, in un Parlamento democratico, c’è concordanza con le designazioni di partito, anche di un partito di maggioranza e di governo», si afferma che «ci sembra di avvertire la esigenza, largamente sentita dal Paese, che la maggioranza, per la parte di sua responsabilità, ed il Parlamento, ricerchino nella elezione del Capo dello Stato un fattore non di predominanza di questo o quel gruppo su altri ma di un equilibrio tale da assicurare l’ordinato sviluppo della vita democratica della Nazione».
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La successione al Quirinale
PARE che oggi si concluderà, con le dimissioni del Presidente Segni, la vicenda, molto dolorosa dal punto di vista umano e assai poco convincente dal punto di vista politico e costituzionale, che ha messo in crisi per lunghi mesi la massima magistratura dello Stato repubblicano. E pare che, in applicazione dell’art. 86 della Costituzione, il Parlamento sarà convocato per il 18 dicembre e che dunque si arriverà all’elezione del nuovo Capo dello Stato prima delle ferie natalizie.
Tutte le informazioni convergono in questo senso. Ma siamo costretti ad adoperare ancora il dubitativo poiché pare anche che il Presidente del Consiglio, come portavoce e longa manus del gruppo dirigente doroteo della D.C. — se non proprio il governo nel suo insieme — non ha desistito ancora dalle manovre che dovrebbero far guadagnare qualche settimana di tempo prima di arrivare ad una scelta alla quale la D.C. non si sente e non è preparata, che essa teme, e che comunque, per il momento in cui dovrebbe avvenire, inserisce un elemento catalizzatore nella crisi politica sempre più acuta che travaglia l’attuale maggioranza. Cosi, quella delle dimissioni, che nel momento in cui il Presidente Segni non era in grado di darle, veniva presentata come la soluzione più « limpida» dal punto di vista costituzionale, ora che il Capo dello Stato, consapevole dell’impossibilità di esercitare le sue funzioni e forse desideroso di sottrarsi ad un pubblico verdetto di «incapacità fisica» ad esercitarle, vuole giustamente accelerare i tempi, sembra divenuta all’improvviso «non scevra di problemi costituzionali». Saremmo dunque all’epilogo impudico di un intrigo assai poco gradevole, che noi comunisti abbiamo fin dall’inizio fermamente denunciato, che abbiamo con la nostra azione impedito marcisse e degenerasse oltre i limiti di sicurezza per le istituzioni, e che la D.C. sembra si voglia ostinare invece a prolungare in modo indecente, incurante di coinvolgere in esso il buon nome e l’autorità del massimo magistrato della Repubblica e di un uomo colpito da un male devastatore?
LA PRIMA considerazione che nasce da queste ultime battute della crisi del Quirinale può diventare cosi la prima considerazione da portare avanti per dare giusta e positiva soluzione al problema della elezione del successore del Presidente Segni. Il Capo dello Stato non può essere l’espressione della volontà di monopolio politico d’un partito e, peggio ancora, d’un gruppo di potere di questo partito. Non può nascere come scelta faziosa, e di parte, ma come espressione d’una convergenza che liberamente si verifichi nel Parlamento, e fra le forze che in definitiva ne determinano l’effettiva fisionomia, al di là delle divisioni (da considerarsi, in regime parlamentare, sempre provvisorie) in maggioranza e opposizione. Il Quirinale non può essere concepito come un’appendice o almeno come un duplicato di Palazzo Chigi, non può essere visto in funzione della difesa «permanente» d’un determinato regime di governo o d’un determinato tipo di maggioranza, specie quando con ciò si vorrebbe tendere a lacerare quella che è la vera radice dell’unità nazionale, cioè l’unità delle forze popolari. AI contrario il Capo dello Stato, proprio perché simbolo e garanzia dell’unità nazionale, deve essere capace di non chiudere gli occhi dinanzi i processi reali che si sviluppano nel Paese, agli spostamenti che nel Paese si possono determinare prima ancora che nei rapporti fra le forze politiche al livello parlamentare, e deve favorirne la crescita positiva, o comunque deve sapere e volere non opporre a questa crescita una chiusa, predeterminata e settaria visione dei rapporti politici. D’altro canto: se il Capo dello Stato deve essere il difensore e il garante della Costituzione, in un Paese come il nostro, dove la Costituzione deve essere ancora realizzata n alcuni dei suoi punti essenziali — si pensi per esempio alle Regioni — ciò significa ch’egli non solo non può essere l’uomo destinato a «coprire» con la sua tolleranza la violazione permanente, da parte dei governi di fondamentali norne costituzionali, e tanto meno a favorirne più o meno sotterranei processi corrosivi o eversivi. ma deve al contrario impegnarsi fermamente perché essa, a vent’anni quasi dalla sua solenne proclamazione, sia pienamente realizzata e non ne sia mortificato in nessun modo Io spirito antifascista, rinnovatore, socialmente e politicamente avanzato. Questo problema del rapporto Presidente della Repubblica-Costituzione si poneva e si pose anche nelle precedenti elezioni del Capo dello Stato, ma si pone oggi in modo nuovo, non solo perché troppi anni sono passati invano, per quanto riguarda la realizzazione di fondamentali norme costituzionali, dal gennaio 1948, ma perché abbiamo acquistato anche a questo proposito un’esperienza della quale sarebbe colpevole che le forze democratiche non tenessero in questo momento il giusto conto.
L’ ESPERIENZA recente, e l’attuale crisi politica in cui il Paese si trascina per la degenerazione moderata del centro-sinistra, l’abbandono delle riforme, l’affermazione ancora una volta prepotente, dinanzi agli istituti rappresentativi della volontà popolare, dei grandi centri di potere monopolistici, «privati», non possono però non suggerire un’altra considerazione in merito all’elezione del nuovo Capo dello Stato. Sarebbe un errore imperdonabile, da parte di tutte le forze della sinistra laica e cattolica (le quali possono — se unite — largamente determinare la maggioranza necessaria ad eleggere il nuovo Capo dello Stato), consentire che la massima magistratura della Repubblica diventasse ancora una volta (come si volle che diventasse con l’elezione del Presidente Segni, con una determinata maggioranza, all’indomani della formazione della prima maggioranza di centro-sinistra) un punto di riferimento e d’appoggio delle forze moderate e conservatrici, non aliene, per i loro scopi, di giovarsi perfino del sostegno delle forze apertamente reazionarie della destra estrema.
Si parlò allora di necessità di «equilibrare» Io spostamento «a sinistra» rappresentato dalla nascita del centro-sinistra. Ebbene, se c’è oggi qualcosa da «equilibrare», è proprio nel senso opposto, è proprio nel senso di ricacciare indietro l’affermazione delle forze moderate, oggi prevalenti e di ridar slancio e respiro a una politica di riforme e di rinnovamento democratico. Di qui il timore e l’incertezza e gli intrighi del gruppo dirigente doroteo. Di qui l’occasione che si offre alle forze della sinistra italiana, laica e cattolica. Occorre non lasciarsela sfuggire, o per non avere il coraggio di sottrarsi al ricatto doroteo, o per non sapere trovare l’unità al di là dei pregiudizi preconcetti, degli schemi astratti e delle formule puramente verbali, che lasciano il tempo che trovano ma mutano in peggio le cose.